Oggi, quello della produzione della bioplastica è uno dei settori più in espansione.
In questo articolo, il terzo dell’approfondimento sulla plastica, capirai se le bioplastica è davvero ecologica.
Se ti sei perso i due precedenti, leggi qui Il primo “Le origini della plastica” ed il secondo “Microplastiche: perchè sono inquinanti?“.
BREVE INTRODUZIONE SULLA PLASTICA
La plastica è una delle grandi rivoluzioni del ‘900.
Con essa sono nati i concetti di “usa e getta” e “monouso”.
Il problema è che, quella utilizzata per produrre questi oggetti, è sintetizzata a partire dal petrolio. Quindi non è biodegradabile e spesso nemmeno riciclabile. Di conseguenza, si accumula.
Si stima infatti che impieghi circa 450 anni per degradarsi.
Nel frattempo però, si disintegra in milioni di pezzi chiamati microplastiche.
Inoltre, ad oggi, siamo in grado di riciclarne solo il 20%.
Per tutti questi motivi, negli ultimi anni, si è reso necessario trovare soluzioni più ecologiche ed a minore impatto ambientale. Sia per ridurre la quantità di plastica prodotta, sia per smaltirla.
Sono nate così le bioplastiche: materiali alternativi, definiti ‘bio’ perché costituiti a partire da polimeri di origine vegetale.
Tuttavia, l’idea non è così nuova.
Infatti, già nel 1941, Henry Ford costruì il prototipo di un’automobile utilizzando plastica sintetizzata a partire da oli vegetali di mais e soia. Purtroppo però, dovette abbandonare il suo progetto, a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Oggi però, le sue idee sono diventate più attuali che mai.
Inoltre, per quanto riguarda lo smaltimento di quella accumulata, il riciclo è solo parte della soluzione.
Infatti, alcuni dei metodi che si utilizzano, ne prevedono la frantumazione e fusione. Ma, durante questi processi, vengono liberati fumi molto tossici e diossina. I costi ambientali e sulla nostra salute sono quindi elevati.
L’utilizzo di bioplastiche biodegradabili, invece, risolve questo problema.
Negli ultimi anni poi, è stato anche scoperto che alcuni ceppi di batteri sono in grado di degradare la plastica. Questi microrganismi infatti riescono, nell’arco di giorni, di digerire materiale che altrimenti impiegherebbe decenni o secoli.
In questo modo, sarebbe possibile eliminare parte di quella già prodotta, riducendo gli accumuli già esistenti.
LA BIOPLASTICA
La bioplastica, come la plastica tradizionale, è formata da polimeri, ma di origine vegetale.
Sono quindi sostanze naturali, che hanno la stessa resa di quella tradizionale. Tuttavia, non sempre sono biodegradabili.
Per questo, in base alla loro composizione, si dividono in due categorie:
- POLIMERI VEGETALI ma NON BIODEGRADABILI: i polimeri, come il bio-polietilene, non sono di origine fossile ma vegetale, quindi ottenuti da fonti rinnovabili. Tuttavia, la molecola presenta struttura uguale all’equivalente sintetico. Per questo non è biodegradabile, ma riciclabile al 100%. Questo tipo di plastica è di solito ottenuta dal bioetanolo sintetizzato a partire dalla canna da zucchero ed è utilizzato per i flaconi di detergenti e cosmetici;
- POLIMERI VEGETALI e BIODEGRADABILI: i polimeri sono di origine vegetale, ma le molecole presentano una struttura propria, diversa da quella dei derivati dal petrolio. Per questo sono biodegradabili. Vengono più comunemente estratti dall’amido, cellulosa e oli vegetali. Tuttavia, se trasformati eccessivamente, possono essere modificati in maniera tale da non essere più biodegradabili.
BIOPLASTICA SINTETIZZATA DA OLI VEGETALI
Gli oli più comunemente utilizzati per la produzione di plastica sono quelli di ricino, cartamo, soia, mais e lino.
Da questi, è infatti possibile estrarre vari polimeri, con funzioni diverse in base ai gruppi funzionali ed al tipo di legame che unisce i monomeri.
I gruppi funzionali sono quella parte della struttura di una molecola che permette le reazioni con altre molecole.
In base a come reagiscono questi monomeri, è possibile ottenere materiali più simili alla resina, vetro o gomma.
BIOPLASTICA SINTETIZZATA DA ALTRE COMPONENTI VEGETALI
Molta della bioplastica è prodotta anche a partire da due polimeri del glucosio: l’amido e la cellulosa.
AMIDO
Presente in patate, riso e molti altri alimenti è utilizzato per produrre resine impermeabili e l’acido polilattico (PLA).
Quest’ultimo è un materiale ancora nuovo e per ora è utilizzato soprattutto per imballaggi di alimenti, piatti, posate e bicchieri monouso.
CELLULOSA
La cellulosa invece, è una fibra robusta ed insolubile in acqua.
Si trova nella maggior parte delle piante ed è ciò di cui sono composte la carta ed il cotone.
Viene modificata e trasformata in composti come l’acetato di cellulosa e l’acetoftalato di cellulosa.
Il primo è utilizzato per la produzione di barattoli, flaconi, spazzolini da denti e molto altro.
Il secondo, invece, si ritrova anche come rivestimento dei medicinali in pastiglia.
BIOPLASTICA PRODOTTA DA MICRORGANISMI
Esistono alcuni batteri, come quelli appartenenti al genere Pseudomonas, in grado di produrre polimeri utilizzabili per la sintesi di bioplastica.
Questi infatti li accumulano, sotto forma di lipidi, in granuli liquidi, amorfi e mobili. Vengono utilizzati come materiale di riserva per garantire la sopravvivenza in condizioni di stress.
Gli scienziati stanno sperimentando tecniche per ottenere batteri in grado si produrre una maggiore quantità di questi granuli.
BATTERI E ALGHE CHE DEGRADANO LA PLASTICA
In questo e nell’articolo precedente ho spiegato come il problema dell’accumulo della plastica sia grave, in quanto questa non è biodegradabile.
Se è sintetizzata chimicamente a partire dal petrolio e non esiste niente di simile in natura, come possono dei batteri degradarla?
Nel 2016, un gruppo di ricercatori del Kyoto Institute of Technology ha dimostrato come un batterio, Ideonella sakaiensis, sia in grado di produrre due enzimi capaci di degradare il PET, il tipo di plastica più diffuso.
Questi infatti scompongono il polimero in monomeri, che poi utilizzano come fonte di carbonio per moltiplicarsi.
Inoltre nel 2019, un altro studio, ha dimostrato che generi quali Bacillus e Pseudonocardia riescono a degradare polistirolo e polietilene.
Infatti ne sono stati raccolti dei frammenti dal mare e sono stati pesati. In seguito a colonizzazione da parte dei batteri, i frammenti sono stati nuovamente pesati.
Il risultato è stato che il loro peso è diminuito, confermando che i batteri hanno degradato una parte del substrato.
Ma come è possibile?
Alcuni ceppi batterici, creano un biofilm sulla superficie della plastica.
Cos’è un biofilm? È una colonia di batteri che, come una pellicola, ricopre una superficie.
In seguito, grazie alla produzione di particolari enzimi, sono in grado di digerirne i polimeri. Da questi ricavano carbonio con cui si moltiplicano.
Infine in uno studio del 2020, alcuni scienziati hanno scoperto che anche alcune alghe azzurre e verdi riescono a degradare il PET.
Lo fanno utilizzando enzimi ligninolitici ed esopolisaccaridici.
Come i batteri, anche loro utilizzano poi i prodotti della degradazione come fonte di carbonio per accrescere la colonia.
Queste, tra l’altro, contengono all’interno della loro biomassa polimeri, che possono essere utilizzati anche per la produzione di bioplastica biodegradabile.
CONCLUSIONI: LA BIOPLASTICA È DAVVERO ECOLOGICA?
La risposta è che dipende, non sempre lo è!
Premettendo che oggi ridurre a zero il nostro consumo di plastica è praticamente impossibile, esistono delle alternative più ecologiche tra cui scegliere.
La soluzione migliore, in generale, è convertirsi all’utilizzo di prodotti solidi (i cosiddetti “zero waste” e “plastic free”). Oggi sono sempre più diffusi e comprendono detergenti per il corpo, deodoranti, detersivi per i piatti ed ogni giorno se ne aggiungono altri alla lista. In questo modo il consumo di plastica è davvero ridotto quasi a zero.
Ma non a tutti piacciono e molti prodotti non sono disponibili in forma solida. In questi casi quindi, spesso si ricorre alla plastica.
Le bioplastiche sono indubbiamente migliori della plastica tradizionale. Infatti sono sintetizzate a partire da materiale vegetale e non petrolio.
Però, le bioplastiche biodegradabili, come il PLA, ritengo che siano migliori, proprio per questa loro caratteristica.
Infatti la bioplastica non biodegradabile come il bio-polietilene, se non viene smaltita e riciclata correttamente, si accumula e persiste nell’ambiente esattamente come quella tradizionale.
Inoltre, un problema che riguarda entrambe le tipologie è come vengono gestite le coltivazioni.
Per esempio, nel caso di bio-polimeri derivati dalla canna da zucchero, siamo certi che la piantagione da cui provengono sia sostenibile e che non siano stati abbattuti ettari di foresta per fare spazio a questa coltivazione?
Perchè se le materie prime non sono coltivate nel rispetto della natura, l’impatto ambientale della bioplastica non potrà mai essere inferiore!
Per questo motivo è sempre fondamentale informarsi sul modo di lavorare dell’azienda produttrice.
Sta a noi quindi informarci, smaltire correttamente i rifiuti e comprare solo ciò di cui abbiamo davvero bisogno, minimizzando gli sprechi.
Leggi l’articolo successivo “5 Prodotti di Uso Comune che Contengono Microplastiche“.
Buona lettura!
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